In scena contro le mafie: intervista a Rosario Mastrota

by Donatella Codonesu (15/01/2015)

teatroteatro.it

L’autore e regista cosentino si forma presso i Corsi di Formazione Teatrali di Scena Verticale, collaborando fra l’altro all’organizzazione del festival teatrale Primavera dei Teatri fino all’edizione del 2009 che vale il Premio Ubu. Si perfeziona con Gigi Gherzi, Motus, Yves Lebreton, Massimiliano Civica, Emma Dante, Alfonso Santagata, Riccardo Caporossi, Enzo Moscato, Pippo Delbono e oggi il suo teatro civile si focalizza sul fenomeno della criminalità organizzata e sulla smitizzazione dei suoi eroi negativi. Dal 20 gennaio in scena al Tordinona Ficcasoldi, su ludopatia e business delle sale da gioco, uno dei loro vari spettacoli “etici”, tutti pluripremiati.Fondata nel 2008 insieme a Dalila Desirée Cozzolino Compagnia Ragli produce diversi spettacoli fra cui la pluripremiata trilogia che include L’Italia s’è desta(finalista Premio Hystrio e vincitore di Uno per Monologhi, Teatropia, Premio Centro alla Drammaturgia, Premio Dirittinscena Università di Roma, Premio Restart Antimafia e Premio Politicamente Scorretto), Panenostro (Per Voce Sola – Teatro della Tosse di Genova ) e Ficcasoldi (Premio Giovani Realtà del Teatro della Civica Accademia Nico Pepe di Udine, con una menzione speciale della critica). Nel 2014 L’Italia s’è desta è stato selezionato per il festival In Scena! a New York mentre Onions partecipa al progetto collabor-AZIONI 2014, diretto dalla regista internazionale Orly Noa Rabinyan. Ficcasoldi racconta un’ennesima storia di banale e terrificante quotidianità, aprendo uno spaccato sul gioco d’azzardo, fenomeno sociale e redditizio business della criminalità organizzata. Come già gli altri suoi lavori, lo spettacolo parla di ‘ndrangheta attraverso un meccanismo teatrale che intende combattere il fenomeno, partendo dallo stroncarne la passiva accettazione.

La ‘ndrangheta è innegabilmente presente ovunque in Italia, ma istintivamente ancora la si associa alla Calabria. I tuoi testi parlano del Sud, ma sono ambientati anche altrove: c’è una differenza nel fenomeno “locale” e in quello “esportato”?

No. Il cancro sociale malavitoso è, purtroppo, deleterio sia in Calabria che nel resto del Mondo. Una differenza tra la ‘ndrangheta in Calabria e quella, per esempio, romana, è che il fenomeno “locale” presuppone una conoscenza certa delle famiglie mafiose e una disincantata tolleranza della gente, il più delle volte per paura, altre volte questa tolleranza assume le connotazioni assurde di “rispetto sociale inconscio”. A Roma, invece, giusto per ricollegarci al recente caso di Mafia Capitale, persiste un’invisibilità della malavita che distacca le persone, isolando le famiglie. Carminati a Roma, gestiva i suoi affari con la famiglia Mancuso di Limbadi, ecco, a Roma questi Mancuso non hanno la stessa dichiarata appartenenza che la gente di Limbadi (comune vicino a Vibo Valentia) riconosce immediatamente in Calabria. La differenza, in sintesi, equivale ad una trasparenza, per la ‘ndrangheta calabrese in Calabria e ad un’invisibilità per la ‘ndrangheta nel resto del mondo. In Calabria, la cosiddetta “protezione” è quasi (a volte no, per fortuna, non voglio generalizzare) una sorta di comparaggio. Esistono casi noti di persone che per agevolare pratiche o per trovare un lavoro, si rivolgono più fiduciosamente alle famiglie ‘ndranghetiste che alle Istituzioni. Fuori dalla Calabria la piaga sociale si nasconde più approfonditamente, mescolandosi fino a rendersi quasi inavvertibile e a volte ci si imbatte in essa in maniera inconsapevole. Con questo non voglio certo dire che in Calabria si diventa tutti ‘ndranghetisti, ma esiste un processo involontario per cui la tolleranza equivale alla partecipazione: essere omertosi, per esempio, agevola la ‘ndrangheta. Paura e disinteresse fanno da linfa. Come descritto ne L’Italia s’è desta, bisogna essere pazzi per parlare di ‘ndrangheta, in Calabria. 

Smitizzare la ‘ndrangheta: cosa significa esattamente?

Smitizzare vuol dire rimpicciolire l’ego spettacolare dei malviventi, chiunque essi siano. Siamo cresciuti con il mito di Scarface, grazie alla celeberrima e sontuosa interpretazione di Al Pacino, ci siamo dichiaratamente schierati con lui, nel film, abbiamo tifato per lui e sperato che restasse in piedi fino alla fine nella famosa scena della sparatoria nell’androne del suo palazzo. Perché? Lui era il cattivo. E’ come se un bambino si schierasse apertamente dalla parte del lupo nella favola di Cappuccetto Rosso. Ecco, smitizzare, per noi, vuol dire ribaltare il punto di vista e regalare la “celebrità” a chi prova, in maniera inconsapevole o con un impegno costante, a combattere i cattivi. Personalmente trovo che in Italia (e anche altrove) si operi all’opposto, così che il messaggio crea simpatie sbagliate che, generano fenomeni sociali violenti o prede facili da essere adescate per la malavita. Quanti sono i post su Facebook di adulazione dei protagonisti della serie tv Gomorra? Quanti hanno pianto per la cattura di Kim Rossi Stuart che interpreta Vallanzasca? E i morti innocenti per mano delle pistole? Chi li ricorda? Chi li esalta per la loro eroica fine? Non vedo post su di loro su Facebook, purtroppo. La nostra società viene manipolata attraverso meccanismi di simulazione della vita, che tolgono la libertà di farci incontrare ciò che è vero, seppur spaventoso, rendendo quasi impossibili le possibilità di cambiamento. Tutti conosciamo la ‘ndrangheta attraverso la spettacolarizzazione che ci viene dai media (e che la stessa ‘ndrangheta vuole). Partendo da questo la nostra lente di ingrandimento inquadra piccole realtà assorbite nella disumana dinamica malavitosa, palesando l’umana possibilità di libera scelta. 

Ti sei dichiaratamente impegnato su questo tema: il teatro civile è un modo per raccontare, denunciare o la consideri un’azione concreta?

Come ho in parte detto prima, nel nostro teatro (quello di Compagnia Ragli), io e Dalila Cozzolino, proviamo a disegnare delle piccole storie che conservino la tematica civile e la denuncia di alcuni modus operandi della malavita, ma poniamo l’attenzione sulla forza dell’azione dei nostri personaggi. Talvolta vincenti, talvolta collusi, talvolta vittime Quella forza corrisponde ad un tentativo di ribellione all’imposizione mafiosa. Per noi l’eroe è sicuramente il più debole. Colui che soffre e vive il male. Oppure ci abita dentro e non lo sa, quindi non lo sa neanche combattere. I deboli, come Carletta, la scema del paese che denuncia un rapimento famoso in L’Italia s’è desta o il panettiere innamorato che uccide per la sua donna due usurai che gli chiedono il pizzo e viene arrestato, in Panenostrosi animano nel meccanismo teatrale, inventato e semplice: combattere la piaga è innato, basta solo sapere di poterlo fare. Il nostro primario obiettivo è questo: reagire.

La tua trilogia: tre storie, tre personaggi con una diversa coscienza del “problema”. In cosa differiscono sostanzialmente? Sono persone che hai veramente incontrato?

No, si tratta di personaggi inventati. Però, nel nostro teatro, amiamo partire dalla cronaca, dalle notizie vere. La nazionale di calcio ha davvero svolto una partita di beneficenza in Calabria in un campetto confiscato alla ‘ndrangheta. Un commerciante ha davvero ucciso gli strozzini che gli chiedevano il pizzo a Locri. La piaga del gioco d’azzardo è davvero contaminata dalla malavita, come spiega benissimo il giornalista Giovanni Tizian in una delle sue inchieste più famose. Dalla realtà partono gli sviluppi delle nostre storie, certamente più poeticizzate e teatralizzate, ma fedeli all’impronta realista che amiamo restituire al pubblico. Adottiamo un linguaggio teatrale “semplice” capace di arrivare a chiunque. Anche per celebrare quel famoso dibattito aperto sull’avvicinare la gente al Teatro, sempre più condannato allo svuotamento. Vi racconto un aneddoto dell’ultima esperienza avuta a Roma, al Corviale, in occasione di Contromafie, organizzato da Libera (l’Associazione che si occupa dei beni confiscati alle mafie, ndr). Abbiamo fatto una replica di Panenostro davanti ad un numerosissimo ed emozionatissimo pubblico di giovani ragazzi tra i 25/30 anni. Nell’era delle distrazioni facili è stato bellissimo “catturarli” tutti con un’attenzione e una partecipazione corale alla recitazione di Ernesto Orrico, alla fine tutti ci hanno dimostrato la loro commozione per la storia. Uno di quei ragazzi, particolarmente emozionato e coinvolto, ci ha ringraziati confessandoci che la storia alla quale aveva assistito lo riguardava particolarmente, dato che i suoi genitori (e lui) avevano dovuto abbandonare la Calabria per trasferirsi al Nord per evitare ritorsioni e minacce, poiché suo padre era stato in grado di imporsi alla richiesta di pizzo adoperando una forma di ribellione simile a quella del fornaio del testo. “Mi avete fatto capire la forza della motivazione di mio padre” ci ha detto. L’Italia s’è desta, Panenostroe Ficcasoldi, sono degli spettacoli onesti, senza pretese, che vogliono raccontare delle storie, affrontando il problema ’ndrangheta con un’impronta di leggerezza. La verità ha questa impalpabilità quando si mostra, poi diventa solida, forte ed esemplificativa, quando gli altri la riconoscono. I nostri personaggi sono “omaggi” e “celebrazioni” di grandi verità, penso a Lea Garofalo, a Peppino Impastato, ecc. 

I tuoi prossimi progetti vanno ancora in questa direzione?

A dire il vero, conclusa la trilogia, vorremmo produrre uno spettacolo diverso. Fedele sempre alla celebrazione della verità e dei deboli, ma con una sfaccettatura civile differente. Io e Dalila abbiamo scritto un testo assieme, Onions, nel quale proviamo a regalare alla Calabria un punto di vista differente da quello che di solito gli si concede. Cercando un dialogo prezioso e stimolante, abbiamo scritto un testo che mostra una Calabria diversa: abbiamo deciso di non contaminare il testo di “cattive abitudini” quali la ‘ndrangheta, l’emigrazione, l’immigrazione, la povertà, l’analfabetismo o la mala politica. Lungi dal negare queste tristi realtà, abbiamo preferito valorizzare alcuni elementi chiave, molto spesso ignorati, che sottolineano quanto questa terra sia anche dotata di autentici splendori: la terra del mito della Magna Grecia, delle bellezze scoperte e riapparse dalla terra stessa, delle mescolanze di linguaggi, della viva e profonda bontà di chi la abita. Abbiamo scritto un testo per la Calabria, evitando di “macchiarla” di risaputo.  Anche se la protagonista è la terra stessa, il testo racconta un’universalità auspicabile anche per l’Italia. L’elemento di partenza è stato la riproposizione del Mito come elemento drammaturgico prioritario, incastonandolo nel contemporaneo, tempo in cui nessuno riesce ad immaginarlo più come plausibile. Un Mito dell’oggi, ricamato in un contesto naturalistico originario, bello proprio perché non ancora invaso dal cemento: una spiaggia, dei personaggi vicini al reale e una dea. Un Mito inventato in scrittura, adottando dei temi molto vicini alla dimensione geografica: una dea condannata a cucinare, l’inadeguatezza nell’abbandono della propria terra, la silente pietrificazione di chi non ha futuro. Mescolare (proprio come si fa con la farina) i caratteri dei personaggi, astrarli dal presente e lanciarli in una dimensione poetica nuda, ha tratteggiato, nella nostra scrittura, una storia che svela, ingrediente dopo ingrediente, quanto sia possibile collaborare per raggiungere un tema comune. I personaggi, infatti, uniscono le loro emozioni e doti per regalare alla dea la salvezza. Questo, oggi, deve accadere allontanandosi dai problemi del presente. In un presente altro.
A Roma sta per tornare in scena Ficcasoldi…

Lo spettacolo – vincitore del Premio Giovani Realtà del Teatro 2013 – sarà al Teatro TdIX Tordinona dal 20 al 25 gennaio, con Dalila Cozzolino, Andrea Cappadona e Gianni Spezzano. E’ dedicato a tutti coloro che si intrappolano nel vizio del gioco: la difficoltà maggiore quando si cade nel vortice del gioco da dipendenza è uscirne, è quasi sempre impossibile. Esistono dei gruppi di ascolto, alcune forze di volontà, ma mai definitive. Pertanto l’obiettivo primario di questo progetto muove dal mostrare una fenomenologia dilaniante che schiavizza chi ci si intrappola. Ma proviamo anche a far luce sulla gravitazione della criminalità organizzata in questo “gioco” e la sua intoccabilità. Un gioco malato che sfrutta la patologia stessa. La storia inquadra una vita presa a caso nel calderone delle vite, un intreccio violento tra necessità e costrizione. Ci è bastato osservare le città: invase da sale slot. Ci è bastato osservare le persone nelle sale slot: vittime. Ci è bastato osservare le pubblicità: ingannevoli. Nessuno riesce a definire le “colpe” di questa piaga sociale. E’ uno scaricabarile continuo, dietro alle critiche si nasconde un martellamento promozionale: pubblicità e spot invadono il quotidiano della gente che, vittima di una crisi inventata, cede alle lusinghe del “vincere facile” e cade nel tranello. La ludopatia è solo un’amara conseguenza, purtroppo. Le colpe sono altre e in questo spettacolo proviamo a delinearne tre tipi: quella di chi promuove l’azzardo, quella di chi lo sfrutta per tornaconto economico (illegale nella legalità) e quella di chi ci cade e resta intrappolato. Il progetto è patrocinato dall’Associazione daSud, di Roma. Vi aspettiamo.

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