Panenostro – Recensione teatroteatro.it

by Donatella Codonesu (16/02/2014)

teatroteatro.it

Un modo originale e delicato per parlare della criminalità organizzata e del suo devastante effetto sulla quotidianità delle vite ordinarie di un intero paese.

Giuseppe fa il pane, ama impastarlo e creare nuove forme espressive. Da acqua e farina nascono i suoi “figli”, sfornati in quel microcosmo calabro che è la sua panetteria, circondata dalla fredda terra dove approdò suo padre, e suo nonno prima ancora.  
La Calabria è lontana, ma la si incontra spesso, nei volti di molti che come lui abitano la periferia grigia e inospitale di un nord Italia che gli ha dato nuove possibilità di vita. Il suo pane amato sparge il profumo che attira gente e denaro, e che prima o poi porta anche il lato oscuro della sua amata terra natìa. E’ una storia di ‘ndrangheta, come tante. E’ la storia di lunghe umiliazioni vissute nella convinzione che tutto sommato si possa sopravvivere anche così, come hanno fatto i suoi familiari, come fanno ogni giorni tanti. Tutti. E’ la storia di una tardiva ribellione, dovuta alla saturazione, certo, ma anche e soprattutto all’amore. 
E’ infatti quando le mani sporche della delinquenza toccano l’oggetto del suo amore, cioè – metaforicamente – la donna amata e – letteralmente – il pane che da lei prende il nome, che alzare la testa diventa necessario. Un irrinunciabile atto di vita che si rivela letale, che lo conduce oltre ogni limite e di cui sconterà le estreme conseguenze.
L’idea di fondo del pane come fonte di vita, come calore familiare, è decisamente bella, altamente poetica. Manca però nella regia firmata dallo stesso autore – Rosario Mastrota – il filo di una direzione precisa, che collochi gesti e movimenti dell’attore – Ernesto Orrico – in un percorso determinato e coerente. Si assiste piuttosto ad un flusso di pensieri ad alta voce, al casuale rimestare del personaggio nei propri ricordi, nelle sensazioni fisiche – tattili e olfattive – della sua piccola esistenza, libera solo nel rapporto fisico con quelle sua creature di pasta di pane. Un modo originale e delicato per parlare della criminalità organizzata e del suo devastante effetto sulla quotidianità delle vite ordinarie di un intero paese.

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